E quindi uscimmo a riveder le stelle

«"E quindi uscimmo a riveder le stelle", cioè?»


È il verso conclusivo dell'inferno Dantesco, che suggella la fine del viaggio più duro e doloroso della commedia, quello nell'abisso del male di cui è capace l'uomo. L'inferno non è la condizione di chi ha trasgredito una legge, di chi ha trasgredito un divieto imposto da un potere più forte. Inferno è disumanità, è libera rinuncia a ciò che è autenticamente umano.
Quando la ragione viene sottomessa dall'istinto, quando l'amore è ridotto a possesso, il gusto a voracità, il desiderio del bene trasformato in individualismo e ad avarizia: quello è l'inferno.

Uscire dal buio di questa condizione e rivedere le stelle non è un atto semplicemente liberatorio: è il gesto di chi torna ad essere autenticamente umano, di chi riconquista quell'orizzonte dentro cui ogni particolare trova la sua vera dimensione. Le stelle verso cui sale Dante dopo la discesa all'inferno rappresentano quell'abbraccio del cosmo dentro cui anche le più grandi ferite possono essere lenite e la giustizia tornare ad essere contemplata come orizzonte possibile.

Osservare le stelle è per Dante il gesto fisico che meglio esprime la statura psichica della natura umana recuperata nella sua dignità più grande: la disposizione a contemplare la bellezza e l'armonia del mondo creato, il desiderio di arrivare fino a partecipare dell'unica forza in grado non solo di contrastare la violenza, ma di ridare dignità all'umanità ferita: «l'amor che move il sole e l'altre stelle» (par XXXIII).

30 novembre 2021


Giornata contro la violenza di genere


Il ruolo dell'Università Cattolica in WaW